Tre romani, polemici, arrabbiati e sempre affamati. Ricette, illustrazioni e recensioni oneste.

Gangs of Kitchen

gangs of kithcen by cinghiale romaffamata

Cronache di cucine dietro le Sbarre

Nell’immaginario collettivo (e sopratutto quello cinematografico) spesso la cucina e il buon cibo sono legati in qualche modo agli ambienti criminali. Ci basti pensare alla celebre scena del Padrino in cui Clemenza declama la sua ricetta del sugo di carne a Michael Corleone, oppure di come da sempre le mense sono raccontate come centro di contrabbando nelle Serie tv, sopratutto quelle che ruotano intorno alla vita in prigione. Sebbene spesso la realtà sia ben diversa da quella che viene riprodotta sullo schermo dei nostri smartphone, è innegabile che spesso questi due ambienti, solitamente ben distinti, si siano, nel bene e nel male, saldamente intrecciati fra loro.

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Uno Chef In Gambino

La storia di Davide Ruggiero forse è uno degli esempi più eclatanti di come la passione per la cucina possa crescere anche mentre si vive quella che è una vera e propria carriera criminale. Insieme al suo nome falso, Gambino si porta appresso un’immagine che sembra uscita dal secondo tempo di “Toro Scatenato”, costituita da una corporatura massiccia e mani come palanche, degne del suo passato da pugile. Giovanissimo, a soli 25 anni era riuscito a ricevere ottime recensioni nell’ambiente Newyorkese per il suo lavoro alle “ La Caravelle”, celebre ristorante francese della metropoli americana. Solo dopo la morte del figlio per overdose, decide che la sua è una storia che merita di essere raccontata. Così rivela al mondo di essere sempre stato parte integrante e attiva della famiglia Gambino, una delle 5 famiglie che facevano parte dell’iconica “mafia americana”.Parallelamente alla sua carriera culinaria, che lo portò ad essere considerato uno dei migliori chef degli anni 90 in America, la carriera criminale di Ruggiero vantava nel curriculum diversi traffici di droga, pestaggi, e addirittura brutali omicidi (per cui non è mai stato condannato). Non che avesse mai avuto scelta. Alla tenera età di 13 anni, nel 1976, il padre aprì una pescheria a Brooklyn, fu questo il primo lavoro nel crimine del celebre chef.

«Portavano cassette da un chilo di sardine, calamari e polpi congelati», disse in una celebre intervista. «In mezzo al pesce c’era l’eroina pura. Quando la scaricavano qui, i cani non riuscivano a fiutarla». Nel 77’ venne portato in Sicilia per la sua iniziazione. Ancora oggi, sulla sua spalla destra, capeggia il tatuaggio di una croce con su scritto “uomo di fiducia”.

Quei bravi ragazzi cena in prigione

Dal Buio della cella alla Luce di una stella

Krishna Léger e la sua storia sono invece la testimonianza di come l’arte culinaria possa strappare un uomo dalle ingorde fauci del fascino di una vita criminale. Léger sconta 13 anni di prigione per un traffico di droga finito male. Proprio nel mentre della sua condanna, durante una visita nel carcere di Marsiglia della compagna Mirelle, gli viene offerto lo spunto per decidere che la sua vita non poteva finire dietro le sbarre, ma piuttosto ricominciare dietro un bancone di una cucina. Comincia guardando programmi di famosi chef alla televisione, ma ben presto convince le autorità della prigione a concedere il suo trasferimento nel carcere La sante di Parigi, dove frequenta , con il sostegno economico di Mirelle, la scuola “Ferrandi”.Nel 2016 ottiene il diploma e la libertà vigilata. Nel 2018 apre un ristornate con la compagna che però decide di lasciarlo alla fine dello stesso anno. Nel momento più nero, a un passo dalla ricaduta nel tunnel criminale del passato, Leger incontra Celine Simitian, giudice che aveva seguito il suo caso. Sarà lei a intercedere con la banca per la concessione del prestito che ha permesso a Krishna di acquistare la fattoria dove oggi si trova “Volver”.

Nel 2020 ottiene una stella Michelin.

Cannavacciuolo paperacciuolo paperino topolino fumetti

Oggi cerca personale per dedicarsi al suo prossimo progetto: un centro di formazione dove gli ex detenuti possono imparare le basi del mestiere di ristoratore.

Ristorazione: Un settore che “vale la pena”

Legén non è l’unico ad aver pensato che il settore ristorativo possa essere un’ottima possibilità per coloro che, uscendo dal carcere, si ritrovano senza un’alternativa utile alla vita criminale. Per questo nel 2014 nasce il progetto “Vale la pena”, un birrificio artigianale gestito dall’associazione Semi di Libertà Onlus.

È un progetto di inclusione di detenuti del Carcere romano di Rebibbia: i detenuti ammessi al lavoro esterno vengono formati e avviati all’inclusione professionale nella filiera della birra.
Ad oggi il progetto si è evoluto anche in un pub shop situato In via Eurialo 22, che raccoglie i prodotti dell’economia carceraria di tutta Italia. Birra, vino e cocktail.

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